Letteratura e città, letteratura e musica, letteratura e cibo. Le grandi storie hanno ispirato – e continuano a ispirare – giochi, approfondimenti e rimandi a tutto ciò che fa parte delle nostre quotidianità. È come se, percorrendo le stesse strade che il commissario Montalbano percorre nelle sue indagini o infornando i muffin al limone che aspettavano Daisy nella cucina di Il Grande Gatsby, sentissimo i protagonisti delle nostre storie preferite più vicini, più reali.
Con rara sensibilità e freschezza, Silvia Lelli Cacaci, consulente di immagine, si diverte a scovare le connessioni tra i capolavori letterari e l’uso del colore. E condivide le sue ricerche nel suo profilo Instagram @_silvialelli_.
Silvia è anche e soprattutto un’autrice dell’agenzia letteraria NILA e nel racconto Parassiti qui di seguito ci dà un assaggio della sua bravura. Anzi, una pennellata.
PARASSITI
«Guardi, la prende da sopra con due dita, sì, pollice e indice, e la sfila giù fino alla punta del capello. Poi la mette sul tovagliolo.»
«Ma è marrone.»
«Sì, signora, sono marroncine.»
«Che schifo, sulla testa sembravano bianche. Non che bianche fossero meglio, eh. Oh no, Matilde non piangere, non è vero che fanno schifo, mi è uscito così senza pensare.»
«Signorina Matilde, stia tranquilla, adesso io e la mamma gliele togliamo tutte.»
«Sì amore mio, ascolta Elisabeth.»
«Signorina Matilde, queste uova sono tutte morte, non si muovono, non sono fastidiose, lo shampoo ha funzionato. Però, quel pettinino da solo non riesce a portarle via tutte, e noi lo aiuteremo.»
«Come fa a dirlo?»
«Dire cosa, signora?»
«Che sono tutte morte.»
«Non hanno più la pancia. Quelle vive sono cicciotte, hanno la pancia, e brillano come lampadine.»
«In effetti prima erano diverse.»
«Vede che ho ragione?»
«Lei ha sempre ragione, Elisabeth.»
«Non mi prenda in giro, signora, che me ne accorgo.»
«Mi faccia scherzare un po’, Elisabeth.»
«Sa che in Perù i pidocchi sono neri neri? Qui invece sono bianchi. Proprio come me e lei.»
«Che sciocchezza. Comunque, lei ne sa, di pidocchi.»
«Da ragazza studiavo per diventare parrucchiera. Andavano di moda le permanenti. Bei tempi, quelli.»
«Oh, anche qui avevamo tutte la permanente, un obbrobrio. Ma che c’entra, questo?»
«Per esercitarmi tagliavo i capelli ai bambini poveri, alla periferia di Lima: avevano tutti i pidocchi.»
«Senta, Elisabeth, quanto ci vorrà, qui?»
«A togliere le uova? Qualche ora, forse tutto il giorno. Ma non si preoccupi, oggi non lavoro.»
«Tutto il giorno! Beh, sono felice che non abbia fretta, perché poi ci sarebbe un’altra cosina.»
«Un’altra cosa, signora?»
«Matilde, sei stanca vero? Facciamo una pausa. Vai di là a giocare che tra un po’ ricominciamo. Ecco, da brava, ti chiamo io. Lei venga in cucina con me, Elisabeth, facciamoci un bel caffè.»
«Vuole che lo prepari io?»
«No, oggi è mia ospite. Che strano, vero?»
«Sì, strano, signora.»
«Che cialda vuole? Caffè normale o deca?»
«Normale, signora, grazie.»
«La mia Elisabeth. Non mi abituerò mai alla sua assenza, era una di famiglia.»
«Anche per me è difficile.»
«Chi lo avrebbe detto che avrei dovuto rinunciare a lei. Come va il nuovo lavoro?»
«Bene, grazie a Dio, ma preferivo stare qui. La signorina Matilde è come una figlia; mi dispiace che sia così triste, oggi.»
«È per questa storia dei pidocchi, ci sta male. Ma che possiamo fare, nella sua classe li hanno presi tutti.»
«Tra due giorni deve rifarle lo shampoo, mi raccomando.»
«Sì sì, stia tranquilla. In realtà, Elisabeth, siamo state fortunate.»
«Fortunate?»
«Sì, io e lei, fortunate, perché i pidocchi mi hanno dato una scusa per chiamarla.»
«Una scusa, signora?»
«Una scusa. Chiuda la porta per favore. Ho bisogno di lei anche per un altro motivo. È una questione un po’ delicata… Il caffè è pronto. Zucchero? Quanto?»
«Un cucchiaino, grazie.»
«Bianco o di canna?»
«Scelga lei»
«Di canna è più salutare.»
«Mi dica, signora, che altro dobbiamo fare? Ho visto che i vetri sono sporchi, e sul davanzale dell’ingresso c’è di nuovo la cacca dei piccioni. Ci penso io.»
«No, non è per il guano. Però, adesso che mi ci fa pensare, magari la settimana prossima… Quei piccioni maledetti, mi fanno impazzire, prima o poi cadrò dal quinto piano a forza di sporgermi. Ma adesso c’è qualcosa di più impellente. Beh, non ci girerò intorno: l’ho fatto fuori.»
«Può ripetere?»
«Eh, devo parlare piano: l’ho fatto fuori.»
«Che? »
«Ma come che? Chi, piuttosto: Alvaro. L’ho… Non mi faccia dire quella parola, beh, zac. Caput.»
«Non…»
«Che ha? Si sente male? Ha cambiato colore! Ecco, si sieda qui. Elisabeth, la prego! Faccia dei bei respiri, da brava. Inspiri, espiri, inspiri, espiri. Così. Mannaggia, pensavo che se lo aspettasse, almeno un po’!»
«S-s-signora, no, non me lo aspettavo.»
«Era un così grande bastardo, lo sapevate tutti tranne io! Mi ha cornificato con tutta Milano! Aveva uno scontrino nella tasca del trench. Da quando non c’è più lei, tocca andare a me in lavanderia! Un profumo da donna, di quelli di lusso, l’ho scoperto così, cosa c’è di più banale? Divento rossa a raccontarlo, e infatti mi sento avvampare. Anche lei ne era a conoscenza, Elisabeth, non menta.»
«Signora, sì.»
«Ecco! Perché non mi ha mai detto niente?»
«Signora, ci sono dei limiti.»
«E che la mattina non andava più al lavoro, ma nei bar a giocare alle macchinette, quel porco, lo sapeva?»
«Lo sapevo.»
«Io no! Si era licenziato da due anni! Due anni a ciondolare per i bar, a giocare alle slot machine, a dilapidare il mio patrimonio e quello di mio padre buonanima! Che fessa, vero?»
«No, signora, fessa no.»
«Una gran fessa invece, glielo dico io. Elisabeth, voglio però che lei sappia che non ce l’ho con lei. Capisco la sua posizione, e le voglio ancora bene.»
«Grazie, signora.»
«A patto che mi dia una mano. Oh, che bello, vedo che ha riacquistato un po’ di colore! Come sono contenta. Ho bisogno che sia in forze. Allora, questo è quello che faremo. Procederemo per priorità: metteremo a posto qui, toglieremo le uova morte dalla testa di Matilde poverina, e affetteremo Alvaro in modo da farlo entrare in un paio di valigie. Ho comprato una sega. Che ne dice? Elisabeth, è di nuovo sbiancata! Mi serve solo un sì o un no. Forza, mi risponda, suvvia! Mi faccia un cenno con la testa. Bene, un bel sì, che gioia! Allora siamo d’accordo.»
«Signora, io non capisco. Il signor Alvaro…»
«Cosa c’è da capire? Era uno scostumato. O no, Elisabeth?»